L’attività della pubblica amministrazione, sia che dalla stessa derivi un provvedimento amministrativo, sia un accordo o un atto di diritto comune, è sempre funzionalizzata al perseguimento di uno scopo, quello istituzionale esplicitamente o implicitamente desumibile dalla norma istitutiva del potere in capo alla pubblica amministrazione.
I principi sui quali si fonda tale attività sono desumibili dal diritto comunitario dalla nostra Carta Costituzionale e dalle norme primarie ( legge numero 241/90 che all’art. 1 indica, come criteri direttivi dell’agire pubblico, l’economicità, l’efficacia, l’imparzialità, la pubblicità e la trasparenza).
Nell’esercizio dei propri poteri, anche di tipo autoritativo, la pubblica amministrazione non può esonerarsi dal prendere in considerazione interessi delle altre pubbliche amministrazioni e dei terzi privati che possono essere lesi da tale l’esercizio.
Se, inizialmente, la discrezionalità amministrativa veniva identificata semplicemente nella libera scelta del mezzo ritenuto più opportuno dalla pubblica amministrazione per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, oggi, alla luce del principio di buon andamento ed imparzialità, il concetto di discrezionalità è mutato.
Il nuovo significato da attribuire al termine prende spunto anche dal principio di proporzionalità di matrice comunitaria: la pubblica amministrazione sceglie il mezzo da utilizzare contemperando tutti gli interessi in gioco in modo da arrecare il minor pregiudizio possibile agli stessi. Il mezzo risulterà quindi idoneo, necessario e proporzionato allo scopo.
Parte della dottrina ritrova il principio comunitario di proporzionalità nel principio di ragionevolezza, cui deve ispirarsi la pubblica amministrazione nel esercitare i propri poteri con coerenza e logicità.
Distinta dalla mera discrezionalità è l’attività della pubblica amministrazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, in tal caso i margini di scelta sono individuati dalla migliore scienza da applicare al caso concreto.
Dottrina maggioritaria distingue 4 fasi per evidenziare l’esplicarsi della discrezionalità tecnica: in una prima fase la pubblica amministrazione si limita ad accertare i fatti, in una seconda ad individuare i criteri tecnico-scientifici desumibili dalle norme aventi carattere generale e indeterminato, in una terza fase compara i fatti con le norme concretizzate ed infine se i primi sono sussumibili nelle seconde applicherà il criterio tecnico-scientifico individuato nella seconda fase.
Anche se prima facie sembra possibile assimilare tali attività a quella di carattere vincolato, in realtà i presupposti sulla base dei quali la pubblica amministrazione provvede, in quel determinato modo, non sono individuati aprioristicamente dal legislatore ma sono frutto di una scelta tecnica dell’amministrazione. È per tale motivo che il giudice non potrà sindacare la legittimità delle scelte, pur sempre discrezionali, della pubblica amministrazione con una cognizione che risulterebbe altrimenti estesa al merito.
Le ipotesi in cui il giudice ha giurisdizione piena e determina il contenuto del provvedimento, o addirittura, in caso di inerzia della pubblica amministrazione, emana lo stesso in luogo della pubblica amministrazione, sono espressamente previste dall’articolo 134 c.p.a.
Solo in questi casi, ad esempio nel giudizio di ottemperanza, il giudice può sindacare le scelte (tecniche e non) della pubblica amministrazione?
La risposta non può che essere affermativa anche alla luce del nuovo codice del processo amministrativo. In tutte le ipotesi in cui il giudice in sede di legittimità è chiamato ad esercitare una valutazione sul rapporto e non sul semplice atto, valuta la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, accertando i fatti sulla base dei quali verifica se sia concretizzabile la spettanza del bene della vita non entrando mai nel merito delle scelte amministrative.
Il sindacato del giudice amministrativo è soggetto a limiti procedurali e a limiti sostanziali.
Il primo, di natura procedurale, da rilevanza alla certezza di stabilità dei rapporti giuridici, di conseguenza il giudice non potrà sindacare gli atti amministrativi non impugnati nei termini decadenziali prescritti.
Limiti di natura sostanziale sono desumibili dall’articolo 31 c.p.a. Il giudice può sindacare gli atti di natura vincolata (per l’emanazione dei quali la pubblica amministrazione semplicemente accerta la sussistenza dei presupposti indicati dal legislatore): quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità (ad esempio quando la pubblica amministrazione in caso di erogazione di finanziamenti pubblici si autovincola consumando la propria discrezionalità ) e nelle ipotesi in cui non sono necessari adempimenti istruttori che devono essere compiuti dalla pubblica amministrazione.
Secondo un minoritario orientamento tale limite caratterizza solo il giudizio sul silenzio e la ristrettezza dei tempi che connota tale rito, essendo stati espressamente previsti, per il rito ordinario di legittimità, i mezzi di prova e la consulenza tecnica tipici del processo civile.
In realtà il giudice nell’avvalersi della consulenza tecnica non potrà sostituire la pubblica amministrazione nell’attività istruttoria individuata come fase caratterizzante il procedimento amministrativo di pertinenza esclusiva della pubblica amministrazione (come desumibile dal principio di separazione dei poteri giurisdizionale amministrativo e legislativo).
Quanto sinora affermato non deve indurre a pensare che il giudizio sull’ atto amministrativo in sede di legittimità sia limitato alla verifica di vizi puramente formali dello stesso se frutto di attività discrezionale.
Lo stesso articolo 21 Octies individua tra i vizi di legittimità del provvedimento amministrativo l’eccesso di potere, di conseguenza, in caso di attività discrezionale, il giudice potrà valutare l’operato della pubblica amministrazione sulla base di criteri di coerenza, congruità e logicità verificando che l’amministrazione abbia ottenuto i risultati, legittimamente prefissati, con il minore sacrificio possibile degli altrui interessi inevitabilmente lesi.